Archive for Marzo, 2016

arte e artisti

Posted on: Marzo 28th, 2016 by admin No Comments

Paolo Mussat Sartor entra nel lavoro degli artisti, penetrando dentro gli interstizi temporali e spaziali dell’opera prodotta, documentandola nei suoi passaggi. Il risultato è sempre un’immagine attenta a trasmettere anche l’eticità dell’arte come fare, un nuovo modo di mettersi degli artisti di fronte alla creazione.

1978, Achille Bonito Oliva

Paolo Mussat si forma, come fotografo, all’interno di un contesto molto particolare (nell’ambito di un contesto), in un “luogo” che tende a caratterizzare la qualità stessa dello sguardo. Questo “luogo” è la galleria torinese di Gian Enzo Sperone, che egli frequenta pressoché quotidianamente tra il 1968 e il 1975.
La galleria Sperone era nell’Italia e nella Torino di allora, un vero e proprio laboratorio di idee nel quale si incontravano, discutendo della propria ricerca, uno straordinario di artisti tra i quali Giovanni Anselmo, Alighiero Boetti, Mario e Marisa Merz, Emilio Prini, Pier Paolo Calzolari, Giorgio Griffa, Giuseppe Penone, Michelangelo Pistoletto, Salvo e Gilberto Zorio. Non si può prescindere, nell’accingersi a valutare il lavoro di Paolo Mussat Sartor, dal considerare il rapporto intellettuale e umano che egli ha intrattenuto e ancora intrattiene con alcuni di questi artisti.
Il giovane fotografo, appena ventenne, viene chiamato a “documentare” l’irripetibile stagione creativa dell’Arte Povera, a fotografare performance, installazioni precarie e opere realizzate con materiali effimeri.
Mussat Sartor oltre agli artisti dell’Arte Povera operanti nell’ambito della Galleria fotografa numerose altre figure leggendarie dell’arte italiana del secondo Novecento come Dino De Dominicis, Enrico Castellani, Giulio Paolini, Mario Schifano, Luciano Fabro, Jannis Kounellis, Enzo Cucchi, Luigi Ontani, Emilio Vedova, Marco Gastini, Luigi Mainolfi e un nutrito gruppo di artisti internazionali quali Joseph Beuys, Daniel Buren, Arman, Joseph Kosuth, Richrad Long, Christo, Tony Cragg, Lawrence Weiner, Douglas Huebler, Robert Barry, Brice Marden, Gilbert e George, Sol Lewitt, Cy Twombly, Bruce Nauman, Walter Demaria, Jan Dibbets, Hamis Fulton.

Andrea Bellini

ritratti e autoritratti

Posted on: Marzo 28th, 2016 by admin No Comments

La dimensione singolare, nella ricerca di Paolo Mussat Sartor è un’immersione profonda nella fotografia, nel suo linguaggio, nei suoi strumenti, e insieme l’attimo in cui, come in una nascita interrotta, si balza fuori da quel piccolo paradiso perfetto e conchiuso. Davanti a ognuna di queste immagini c’è l’attesa, la sorpresa di una qualche meraviglia. Di un funambolo che ha promesso al suo pubblico di non ripetere mai lo stesso esercizio. Camminare sul filo, per esempio, nell’affrontare uno dei compiti tradizionali e antichi della fotografia: ritrarre volti.
Nel ritratto, il fotografo non può che ritrovarsi davanti agli occhi secoli di tele ed entrare nel fiume della pittura. E questo Mussat Sartor lo fa con grande naturalezza. Raccogliere una sfida, come nel caso del ritratto di Baj del 1971, ha il significato di un’immagine in cui una materia sottilmente pittorica contrasta con la posa quasi neoclassica del personaggio. Nel ritratto di Giulio Paolini, A Giulio (1988), c’è un dialogo sottile di sguardi dentro l’immagine che può ricordare i grandi testi concettuali della pittura antica, dal ritratto dei Coniugi Arnolfini di Van Eyck a Las Meninas di Vélasquez. La figura è ripresa da due punti di vista, da destra e da sinistra, e gli occhi si incontrano in uno specchio immaginario. La triangolazione degli sguardi fa nascere sempre una terza immagine virtuale che amplia l’effetto delle risonanze. Come se allo spettatore fosse offerto quasi un segreto, una preda inaspettata.

È questo il processo vitale, di percezione ulteriore e di movimenti segreti, inattesi, che si innesca davanti alle immagini di Mussat Sartor. Così nel Ritratto di Pellion di Persano del 1973, una ripresa istantanea da quattro punti di vista diversi, un esperimento, che vuole travalicare la bidimensionalità della fotografia.
Così anche in altre “istantanee moltiplicate da più pinti di vista”: Autoritratto (1975), I Gabetti (1976), I Vitale (1976), Giuseppe Salvadori (1990). A questo punto la ricerca può anche a giocare con gli spessori, come nel ritratto – scultura Per Elisabetta (1992), un volto che affiora dalla superficie tridimensionale di una carta trattata con il frottage. Le lontananza, la materia, l’esito spaesante delle solarizzazioni non hanno più niente a che vedere con la scatola prospettica o con le sue deformazioni. Ne emerge una dimensione che recuperando all’immagine la consistenza fisica, la ripropone con veemenza, nella sua unicità e non riproducibilità. È il solo modo possibile per far ritrovare alla fotografia la sua “aura”.

Torino 1993, Adalgisa Lugli

nature

Posted on: Marzo 28th, 2016 by admin No Comments

Platone nel Simposio spiega le amorose passioni degli individui nella spaccatura della loro idea avvenuta nel mondo celeste: così l’anima di ciascuno divisa (sectus = sesso) si sessualizza e s’incarna. Ed ecco sulla terra principia per noi la disperata ricerca della propria metà perduta.
Paolo Mussat Sartor non potendo tagliare in due un uomo vivo, lo fa, ad esempio, con una pera, e fotografa (o attua?) in un frutto l’operazione che il filosofo aveva immaginato in un demone.
Io ignoro se i cachi, le mele, i funghi, i melograni di Mussat Sartor siano sessi orridi o soavi, tuttavia con una tecnica mostruosa egli ci mostra la nostalgia della loro unità vegetale. Certo chi non mette l’occhio nel suo macroscopio, invece di scoprire in un melone i suoi “se stessi”, non troverà che degli inutili semi. E qui lo aiuta il Chāndogya Upaniṣad (III, 14, 3): “Questo ‘sé’, dentro al mio cuore, pur essendo più piccolo di un grano di riso, di un grano d’orzo, di un grano di senape, di un grano di miglio, questo stesso ‘sé’ che è dentro (a ogni forma) è più grande della terra intera, più grande dello spazio, più grande del cielo, più grande di tutti i mondi”. Se dunque potesse, Mussat Sartor farebbe semi di zucca grandi come soli. Non è forse una lente creativa anche questa?

1973, Gianpiero Bona

viaggi, città

Posted on: Marzo 28th, 2016 by admin No Comments

Un amico mi aveva parlato di quello sguardo acerbo e delicato che Paolo aveva posato su alcune città, non si tratta di città qualunque: Lisbona, Praga, Torino, città di mistero, città che portano in sé una riflessione. Le foto sono piccole, intime; come se una foschia impedisse di vedere bene i particolari degli edifici e conferisse allo sguardo una certa distanza. E poi una serie di fotografie scattate ina autostrada, dallo spazio chiuso della macchina; il volante, il riquadro del parabrezza, i tergicristallo. Piove, le gocce di pioggia bagnano il paesaggio, lo deprimono. Quel genere di foto che rimane impresso nella memoria come quando si fissa uno di quei momenti inesprimibili della vita.
Mussat Sartor non ha bisogno di immense fotografie a colori per regalarci emozioni, per condurci là dove lui, con i suoi occhi, ha saputo vedere la vita. Paolo Mussat Sartor ci presenta, ci rappresenta quelle cose della vita che attraversano il mondo per arrivare nello spazio chiuso del suo atelier. La poesia che nasce da queste fotografie delle città, dei paesaggi o degli altri pretesti da fotografare, sorge da uno sguardo avido e avaro della crudele bellezza nascosta in queste piccole cose della vita.

Philippe Hardy, 2000

Pigmenti, Rose, Gambe

Posted on: Marzo 28th, 2016 by admin No Comments

Sono le tre di notte quando qualcuno suona alla mia porta.
Mi sveglio, con il timore che sia accaduto qualcosa ai miei figli, ancora in tenera età, ma all’uscio appare Carlo.
Carlo è un uomo intelligente e fascinoso, ma più sfortunato di me, anzi di noi, un piccolo gruppo di amici che in qualche modo provvediamo al suo precario sostentamento.
Entra sempre, a qualsiasi ora appaia, come se fosse atteso. Credo sia un suo modo di vincere la solitudine.
Preparo un caffè, ma Carlo preferisce una birra, del formaggio e una Gauloise che conservo in studio solo per lui.
Se ne va dopo due ore di conversazione e lunghi silenzi, così come era venuto. Sono le cinque, non ho più sonno, mi sento stordito: che fare? Penso che questo è il titolo di dieci fotografie del 1984, l’unico lavoro di un certo rilievo che ho eseguito in quell’anno, pesante e doloroso.
Progetto da molto tempo l’abbinamento della fotografia e della pittura; a olio, naturalmente, come i veri pittori!
Ma per timore e un po’ di vigliaccheria rimando sempre questo incontro. Oggi è il giorno prescelto! Carlo, come un angelo giunto all’improvviso, me lo ha annunciato. Non ho più alibi da interporre fra me e il fare. Ho i pennelli, i colori, la trementina, le spatole, una serie di piccole immagini appositamente realizzate e incollate su tavolette. Mentre scrivo questi brevi appunti sto osservando le sette fotografie dipinte: l’esito è piuttosto deprimente. Forse coloro che mi consigliavano di soprassedere a questo progetto non avevano torto!
O forse, il primo tentativo non poteva essere diverso.
Non so che dire, mi sento frustrato e deluso: ho la sensazione forte, però, che in futuro ci saranno altri incontri.

Torino, 26 novembre 1985

Pietre, Asimmetrici, Figure

Posted on: Marzo 28th, 2016 by admin No Comments

Nei primi anni Ottanta la necessità di spostare altrove il linguaggio fotografico non può più nutrirsi dell’idea del punto di vista multiplo. Il problema di rendere visibile l’invisibile grazie a uno sguardo pluridirezionale è ancora un problema tutto interno (insito nella) alla fotografia e ai suoi meccanismi di riproduzione. Mussat Sartor cerca ora, nella camera oscura, una soluzione più radicale, un intervento irreversibile dal punto di vista della storia della fotografia. Intuisce che questo scarto, questo passaggio di cui avverte l’esigenza non può riguardare il soggetto fotografato e nemmeno le diverse tecniche di riproduzione dell’immagine. Si tratta, insomma, in questo momento, di superare la fotografia come elemento perfetto e conchiuso, di strapparla al suo tradizionale dominio tecnico, storicamente prefissato, per portarla in un’altra zona, in un’altra dimensione di linguaggio.
Mussat Sartor comincia a intervenire direttamente sulla carta fotografica con il colore, con le mani, per spingersi in un territorio mediano nel quale il processo fotografico ha una parte ancora importante nella costruzione dell’immagine, ma non più unica ed esclusiva. Egli cerca e trova l’equilibrio sottile tra la potenza del gesto pittorico e il suo controllo meticoloso, una capacità di controllo che gli deriva senz’altro dalla lunga esperienza nella camera oscura e, forse, anche dal suo carattere. Insomma non si tratta semplicemente e banalmente del colore che va ad arricchire la sua fotografia, ma al contrario, è proprio la sua cultura fotografica che condiziona in modo assai specifico il senso della sua avventura pittorica. L’equilibrio, potremmo dire il sottile stato di grazia tra le due componenti, fa sì che le sue immagini si trovino sempre in un territorio mediano e ambiguo, un’inafferrabile zona di confine tra pittura e fotografia.
In questo modo egli riesce a strappare la fotografia alla sua contingenza predatoria e documentativa per inserirla nel dominio carismatico e senza tempo del proprio mondo interiore. Private del loro contesto geografico e atmosferico le Rose, le Pietre, i Corpi, assumono la caratteristica di immagini ibride e poetiche, dall’identità assoluta e fluttuante nel tempo.

2006, Andrea Bellini

scanning

Posted on: Marzo 18th, 2016 by admin 1 Comment

SCANNING
di Paolo Mussat Sartor e Nicola Ponzio
edito da Edizioni Corraini
postfazione Marco Giovenale

Un viaggio on the road, a tappe, in automobile, iniziato nel 1975. Un viaggio continuo tra città e campagna, giorno e notte, periferia e montagna. Il parabrezza, bagnato di pioggia, coperto di neve o illuminato da un sole battente si fa vetrina del mondo che scorre. Il bianco e nero delle fotografie di Mussat Sartor si scioglie in mille declinazioni di grigio, descritte nell’accumulazione dei testi di Nicola Ponzio. Il percorso di Scanning si fa universale, una ricerca delle velature del quotidiano verso l’osservazione pura e disinteressata, verso la percezione delle varietà. Un’emozione, quella della scoperta, del viaggio infinito, che appartiene a tutti noi.